Vita Nihil


Vita Nihil: l’ultima lettera di Alvaro Preti è una raccolta di 81 poesie (divise in 9 sezioni di 9 componimenti ciascuna: 9 poesie, 9 i mesi di gestazione, nove le muse). Le sezioni ripropongono ideologicamente le fasi che attraversa l’uomo durante la sua vita, cercando di far rivivere particolari stati d’animo attraverso la personificazione dei sentimenti. Le poesie non rispettano regole proprie della forma lirica quali versificazione, rima, sillabazione ecc.


Si tratta più che altro di una prosa poetica volontariamente adattata in uno schema lirico per descrivere una storia, un “romanzo” antropologico e psicologico. Il romanzo è diviso, a sua volta, in tre grandi età: quella dell’oro, quella del male e quella della metamorfosi, che richiamano tre momenti della giornata, ovvero la luce, il crepuscolo e il buio. Dal principio alla fine.

La storia narrata nel libro non è palesata né ci sono richiami marcati ad eventi e situazioni propri di un romanzo. Nel complesso, però, vengono raccontate, attraverso pensieri e soliloqui, il più delle volte posti nelle introduzioni in corsivo delle poesie, le vicende e gli stati d’animo più importanti della vita del personaggio immaginario, Alvaro Preti.

Così come si evince dal certificato di nascita, Alvaro nasce il 13 novembre 1948, in una località non meglio precisata. E’ lui stesso a raccontarci l’episodio della sua nascita. E lo fa con parole imbarazzate ed imbarazzanti: è come se Alvaro osservasse da grande quel momento, rivivendo inquietudini e tristezze. Fin da subito, infatti, capisce la tragedia della scelta di un nome, di un battesimo imposto, di una vita e di un’educazione che riceviamo senza facoltà di scelta. Successivamente, rivive i suoi primi compleanni per arrivare velocemente alla fase dell’infanzia. Qui la narrazione si focalizza sugli aspetti “metereologici”, evidenti richiami agli stati d’animo che il tempo (freddo, gelo, pioggia e grandine) porta con sé. Il fanciullo scopre nel “Giorno più Brutto di Sempre” che non si vive in eterno, che si muore e che si deve lasciare questa terra. Alvaro deve quindi iniziare a convivere con questa condizione e queste regole se vuole partecipare allo  strano gioco chiamato “Vita”.

Nella terza fase il protagonista attraversa un nuovo stadio: la scoperta dei sentimenti. Alvaro capisce che nella vita si è costretti a relazionarsi con gli altri: conosce quindi l’amore psicologico e quello fisico, con la relativa perdita dell’innocenza. Soprattutto conosce le delusioni di questo sentimento agrodolce e le cicatrici che esso lascia. Conosce l’incertezza e l’instabilità del sentimento amicizia, rimanendone molto turbato. Capisce che, inevitabilmente e quantunque ci si sforzi, non si può vivere in pace con tutti, “provando” sulla propria pelle anche sentimenti di odio. Infine, apprende dell’esistenza di quell’impulso chiamato speranza, che, nonostante tutto, non ci abbandona mai, concedendoci sempre la possibilità di sperare nella bontà di un futuro migliore e nel destino.

Se nelle prime tre sezioni Alvaro si trova ancora in una età d’oro, di luce e di rivelazioni, in cui tutto sembra apparire incantevole e sprezzantemente energico, per l’adrenalina della scoperta di cose che non si conoscono, questo non si può dire d’ora in avanti: tutti questi sentimenti iniziano a infondere in lui una sorta di inquietudine crescente che confluisce nella parte centrale del libro (sezioni cappa, ni e pi). Queste tre sezioni analizzano il concetto del male. La prima di queste sezioni è dedicata al male supremo, al cosiddetto “cancro”, visto sia come animale bruto che come la malattia che tanto affligge le famiglie di tutto il mondo. Alvaro stesso contrae un cancro-tumore, ma il suo è un male molto particolare. Alvaro lo ha contratto alla nascita e se lo porta dietro da sempre: è più propriamente una condizione di totale disadattamento alla vita che non una malattia. Cancroregina è, quindi, un’entità malefica che va debellata, contro cui lottare, che rappresenta la summa dei mali che affliggono l’uomo non solo esteriormente, ma soprattutto interiormente e psicologicamente ogni giorno. Si fa qui riferimento alla condizione negativa psicologica interiore che, come una ferita, l’essere umano sensibile-debole porta con sé dalle prime esperienze dolorose dell’infanzia e della pubertà.

Ma di fronte a questo male possono esserci diverse reazioni. In un primo momento (sezione ni) Alvaro si adegua alla vita, ai suoi ritmi assurdi e frenetici, comprendendo come sia difficile vivere (da qui il sottotitolo “il Mestiere di Vivere”, un mestiere faticoso e scarsamente remunerato!), rendendosi anche conto che nella vita ci sono alcuni aspetti che ormai abbiamo reso nostri e abitudinari (le cosiddette “Certezze Negative”), a cui non ci ribelliamo e che accettiamo passivamente. Tra queste certezze ci sono sicuramente il matrimonio (Alvaro quasi parodisticamente e per protesta si sposa senza neanche conoscere la propria compagna) e l’avere dei figli (qui la narrazione diviene ambigua in quanto il termine “figlio” è volutamente confuso con “opera d’arte”, intesa come parto della mente, ovvero come qualcosa che si lascia sulla terra e che “parlerà” per noi quando non ci saremo più, così come avviene con le nostre creature; e, infatti, a conferma di questo, lo stesso Alvaro ci racconta di aver dato a suo figlio il nome “Vita Nihil”).

L’ultima sezione sul male è quella della denuncia-protesta: in questa fase (che coincide ideologicamente con la fase della ribellione post-maturità che arriva fino ai 30 anni) Alvaro inizia a  sentire con rabbia che, malgrado tutto, l’uomo può e deve fare qualcosa per lottare contro il male e la vita che ci sovrastano ogni giorno, nonostante ciò sia tremendamente difficile e, a tratti, inutile. Si sfoga, quindi, con rabbia contro l’amoralità della gente che, per prevaricare sugli altri, finisce per offendere il rispetto e le norme comuni di civiltà (Alvaro indica queste persone sprezzantemente con l’appellativo “Cani”) o contro il piccolo paese di provincia che, invece di aiutare chi resta, finisce per massacrare quelle poche menti che cercano disperatamente di elevarsi al di sopra di una comunità che non fa altro che deridere, in modo del tutto paradossale, chi tenta invano di emanciparsi. Da questo momento in poi entriamo nelle tre sezioni finali (età del buio). Qui la narrazione si fa più oscura e si fa ricorso a un artificio letterario: la fase adulta di Alvaro si fonde in un tutt’uno con la figura dell’Arte, intesa nella sua spiritualità e forza concettuale: in una sorta di ripresa delle “Metamorfosi” di Kafka, Alvaro si ritrova trasformato psicologicamente in “Arte”. L’uomo diventa adulto e maturo, così come la concezione e la produzione artistica di ognuno di noi diviene sempre più solenne, concettualistica e interessante con il passare degli anni. L’uomo sensibile crescendo si trasforma sempre più da ani-male ad anima-le, ovvero da creatura mossa soltanto dall’istinto e dal male a creatura spinta da propositi produttivi e psicologicamente superiori. Per questo Alvaro si dedica con frequenza e abnegazione a una serie di attività quali la musica (“Suoniamo” e “Note”), la scrittura (“Voglio Scrivere”) e la filosofia (“Poesia Geometrica”), iniziando, a ridosso della sua fine, a riflettere su cosa possa attenderlo dopo la morte e sulla continuazione della vita senza di lui sulla Terra. Ma anche queste attività, che in un primo momento sembrano esaltarlo e fargli quasi comprendere significati più profondi, falliranno miseramente, provocandogli una rovinosa caduta sul terreno dell’illusione e della vanagloria (“Il Volo di Icaro”).

Il finale racconta gli ultimi momenti di vita di Alvaro. La terminologia utilizzata in quest’ultimo passaggio è quanto mai significativa (“bara”, “funerale”, “morto”). Alvaro muore il 25 gennaio 1982 in circostanze non meglio precisate. Sarà compito del lettore immaginare la triste fine del protagonista in base alle proprie esperienze e alle proprie sensazioni. Alvaro è morto di cancro? Si è suicidato? Non è morto ma è salito insieme a degli alieni su una navicella spaziale (“Un Posto della Mente”)?

In ogni caso il finale è emblematico, perché la commistione Alvaro-Arte è così ben congegnata da lasciare intendere che è anche la stessa Arte a morire. L’uomo pensa di potersi elevare, di poter esaltare il proprio spirito attraverso momenti di apoteosi artistica (musica, letteratura ecc.) per lenire e/o curare i malanni causati dal pensiero ossessivo della morte e delle atrocità della vita, ma successivamente ci si rende conto che anche la stessa Arte, mediante la quale ci si voleva innalzare a propositi superiori, si ritrova a morire (al pari dell’essere umano), trascinata in un nero cupo che non abbandona mai l’uomo, dal momento in cui realizza di essere su questa terra e forse anche prima/dopo. Al termine del racconto, Alvaro lascia una lettera in cui chiede scusa a tutti, principalmente ai suoi genitori, per quello che è stato, per quello che ha fatto e non ha fatto e per quello che ha scritto (“L’Ultima Lettera di Alvaro Preti”). 

Alvaro è e sarà sempre un sensibile, un debole, un’anima-le che non comprende e non comprenderà mai le logiche indecifrabili dell’esistenza ma, nonostante tutto, durante il corso della vita che si è ritrovato a subire come un’imposizione, non rinuncerà a vivere, provando sempre a superare ogni fase e ogni ostacolo con tutte le sue forze e lottando strenuamente a difesa di qualcosa che rimarrà, sempre, innegabilmente e suo malgrado, un mistero per tutti: la Vita.


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