Pirateria online: tra abitudini ancestrali e nuove strategie di lotta

(Articolo già pubblicato da Altalex, quotidiano online di informazione giuridica, in data 3 marzo 2016)


La pirateria è un fenomeno antichissimo. L’etimologia della parola deriva dal greco “πειρατής” (peiratès), dal verbo “πειράομαι” (peiráomai) che può essere tradotto come “fare un tentativo, provare un assalto”.
La pirateria è l’attività illegale di quei marinai, denominati pirati, che, abbandonando per scelta o per costrizione la precedente vita sui mercantili, abbordano, depredano o affondano le altre navi in alto mare, nei porti, sui fiumi e nelle insenature. I tempi cambiano però, si sa. Ma ci sono cose che non cambiano, si evolvono ma in sostanza rimangono invariate: i nuovi mari in cui oggi navigano questi impavidi avventurieri non è più dato dalle acque terrestri ma dalle opportunità offerte dalla Rete, nonché dagli strumenti informatici in genere.

Con il termine pirateria informatica si intendono tutte le attività di natura illecita perpetrate tramite l’utilizzo di strumenti informatici. Essa comprende vari settori: tra questi la pirateria domestica (duplicazione di software, video, musica e materiale coperto da diritto d’autore in ambiente domestico tramite masterizzazione e successiva divulgazione ad una ristretta cerchia di persone), l’underlicensing (installazione di software su un numero di terminali maggiore rispetto a quello consentito dalla licenza d’uso), l’hard disk loading (consiste nella vendita di PC su cui sono installati software contraffatti da parte della stessa azienda addetta alla vendita della macchina), la contraffazione del software (consiste nella vendita di  copie di software piratato, imitandone il packaging e il confezionamento originale) e, infine, la pirateria online. Quest’ultima, in realtà, rappresenta una modalità di svolgimento dell’attività illecita stessa. Sfruttando infatti le potenzialità di Internet è possibile mettere a disposizione gratuitamente software non originali, e non solo. Nella pratica, infatti, essa può assumere le forme più svariate: film in formato divx, musica in mp3, ebook, videogame e, in genere, tutto ciò che si presta ad essere digitalizzato può risentire di tale fenomeno. La diffusione di contenuti protetti da diritto d’autore online ha raggiunto una diffusione così elevata da raggiungere cifre e dati inimmaginabili fino agli ultimi decenni. Si verifica così quella che in economia prende il nome di esternalità: questa si manifesta quando l’attività di produzione o di consumo di un soggetto (nel nostro caso il pirata informatico) influenza, negativamente in questo caso, il benessere di un altro soggetto (il titolare del diritto tutelato), senza che quest’ultimo riceva una compensazione o paghi un prezzo pari al costo o al beneficio sopportato/ricevuto. Da questo punto di vista la Rete mostra il suo lato peggiore: sono recenti le analisi del giornalista statunitense Chris Anderson che nel suo brillante saggio “The Long Tail” analizza i vantaggi e le potenzialità offerte dalla Rete nell’ottica del commercio di prodotti digitali di nicchia. Secondo il giornalista grazie alla Rete si è passati da un mercato di massa ad una massa di mercati: la Rete ha sdoganato la diffusione di prodotti con scarsa diffusione sfruttando la riduzione dei costi di magazzino, produzione e distribuzione offerti dalla rivoluzione di Internet. Anderson riscrive le teorie neoclassiche: il moderno meccanismo economico sottolinea l’importanza dell’interconnessione globale e del progresso.

La pirateria, di contro, mostra l’altra faccia, l’altra medaglia del progresso: quella sporca, priva di scrupoli e, soprattutto, illegale. Ma cosa si rischia con la pirateria online? Bisogna innanzitutto distinguere due fattispecie: l’illecito perpetrato tramite la Rete si compone, infatti, da una parte dell’illecito di chi indebitamente rende disponibile materiale coperto da diritti d’autore, e dall’altra dall’illecito dell’utente che ne effettua il download senza averne titolo. Nel primo caso solitamente la diffusione del materiale tramite appositi siti è ricompensata dalle pubblicità: il numero di visite delle pagine del sito pirata è un ottimo biglietto da visita per poter vendere al rialzo gli spazi pubblicitari presenti nei siti pirata e ricompensare adeguatamente il “lavoro” di chi gestisce il “servizio”. Ed è proprio la presenza di banner pubblicitari inseriti nelle pagine web a costituire un’ingente fonte di guadagno: oggi in Italia, come si evince da una nota della Guardia di Finanza del gennaio 2015, la pubblicità online vale complessivamente 2 miliardi di euro, il 25% dell’intero volume d’affari del settore.

Chi scarica invece materiale protetto da diritto d’autore di solito mira ad ottenere un risparmio sulla spesa, ma non è infrequente il caso in cui ciò che è stato ottenuto digitalmente in modo illecito viene masterizzato su supporti fisici, alimentando, così, una pirateria di tipo domestico in un circolo vizioso che non ha fine. L’articolo 171 bis della legge italiana sul diritto d’autore sanziona penalmente chiunque duplichi, distribuisca o venda “abusivamente” programmi per elaboratore per fini di profitto. Tali sanzioni consistono nella reclusione da 6 mesi a 3 anni ed in una multa fino a circa 15.000 euro. Alle sanzioni penali si aggiungono poi le sanzioni amministrative previste dall’articolo 174 bis della stessa legge, pari al doppio del prezzo di mercato del software copiato illegalmente (“per ogni esemplare abusivamente duplicato”).

Per poter ravvisare il fine di profitto, e quindi configurare il reato di illecita duplicazione del software, è sufficiente che chi duplica il programma consegua, come abbiamo visto poco più sopra, un semplice risparmio di spesa.

Per poter capire, però, la complessità del fenomeno è necessario suddividerlo in diversi ambiti:

1. pirateria musicale

2. pirateria cinematografica

3. pirateria editoriale

4. pirateria satellitare

5. pirateria videoludica



Pirateria musicale

L’industria musicale è stata, senza dubbio, tra le prime vittime della diffusione della Rete. Nel giugno 1999 si affermò uno dei più popolari sistemi p2p per la condivisione di musica digitale, Napster, creato da due informatici statunitensi, Shawn Fanning e Sean Parker. Napster si diffuse in modo così rapido da costringere l’intervento delle case discografiche[1]: finito sotto processo, nel luglio 2001 un giudice ordinò ai server Napster di chiudere l’attività a causa della ripetuta violazione di copyright. Il caso sollevò un imponente clamore mediatico ma quello che non si sapeva, o forse veniva solo taciuto, è che altri sistemi di diffusione di materiale coperto da copyright esistevano da largo tempo: ad esempio, il protocollo di messaggistica istantanea IRC era, ed è tuttora, un veicolo di diffusione, non molto popolare a dire il vero, anche di file protetti da diritto d’autore. Inoltre, dopo la sua chiusura sorsero rapidamente altri software di condivisione p2p di brani musicali, quali Kazaa e Morpheus, che ne superarono in poco tempo il numero di utenze. Altro metodo per condividere e scaricare file di qualsiasi tipo è dato dal sistema dei torrent, i quali operano un po’ come una rete p2p, ma sono più efficienti. Una rete p2p funziona perché molti utenti si collegano fra di loro, così che ognuno possa vedere, e scaricare sul proprio computer, i contenuti di tutti gli altri. I torrent invece funzionano in modo diverso: il vantaggio sta nel fatto che ogni singolo file viene diviso in moltissimi frammenti, tutti contrassegnati da un codice che lo identifica. Così, quando qualcuno cerca un file, il suo software cerca in tutti i computer del mondo collegati in quel momento e scarica il file a pezzi. Una volta creato il torrent di un file si può rendere disponibile su una lista di siti (i cosiddetti tracker) in modo da rendere accessibile il richiamo al file a chiunque acceda al sito torrent. Da ultimo occorre ricordare quella che è la nuova frontiera del download di musica e non solo: i sistemi basati sulla congiunzione tra un forum che mette a disposizione link per il download con i servizi offerti da siti web per il file hosting. Un servizio di file hosting[2] o “archiviazione di file” permette agli utenti di ospitare file multimediali all’interno di appositi server web predisposti a tale scopo. Tali sistemi nascono quindi per l’allocazione online di dati personali in modo da conservarli e/o condividerli in via del tutto legale. Il meccanismo è semplice: i file vengono allocati sui siti di web hosting (divisi in più parti zippate, se di grandi dimensioni) e su appositi forum vengono distribuiti i link di richiamo ai file stessi. Il forum lucra così due volte: tramite i banner pubblicitari che ospita sulle sue pagine e grazie al numero di abbonamenti che gli utenti stipulano con i siti di web hosting. Infatti per poter utilizzare i servizi di archiviazione e scaricare i file è necessario essere utenti premium, abbonandosi alla piattaforma[3]. In base a convenzioni stipulate tra forum e servizio di file hosting, i gestori del forum guadagnano così una percentuale sul numero di abbonamenti stipulati. Inutile dire che i tracker per torrent e i forum che mettono a disposizione link per servizi di web storage sono i siti contro cui le Forze dell’Ordine rivolgono giornalmente le più grandi attenzioni.

I responsabili di questi servizi si sentono al sicuro, data la lentezza della burocrazia telematica: la procedura avviata dalla Polizia Postale per oscurare il servizio è lenta e complicata, e questo non costituisce valido deterrente contro i pirati online. Per cercare di ovviare a questa inoperosità è intervenuto il Regolamento Antipirateria dell’Agcom, entrato in vigore il 31 marzo del 2014 e mirato a tutelare il diritto d’autore. È stato realizzato un sito ad hoc dove effettuare le segnalazioni, le quali possono provenire dal titolare del diritto d’autore o da associazioni di gestione collettiva o di categoria. Il procedimento è particolarmente celere: esso deve concludersi entro 35 giorni dalla ricezione dell’istanza. In sostanza, l’Authority riceve le segnalazioni e, se riscontra una violazione, chiede la rimozione del contenuto. Se l’ordine non ha seguito, si avvia la procedura di blocco. Infine, in caso di inottemperanza da parte dei siti che ospitano i contenuti digitali illegali, l’Autorità dà comunicazione agli organi di Polizia Giudiziaria, applicandosi inoltre le sanzioni di cui alla legge 249 del 1997 (da 10 mila a 258 mila euro). Tuttavia, nonostante i buoni propositi, a distanza di un anno dall’emanazione del provvedimento i risultati non hanno dato ragione all’Agcom: al 27 marzo 2015, sono state 209 le istanze di intervento ricevute, che hanno dato vita a 134 procedimenti, visto che negli altri casi sono state ritirate prima o archiviate. Più o meno 11 al mese. Poche, a maggior ragione se pensiamo che in Italia sono 21 le sezioni specializzate in proprietà intellettuale che operano presso i Tribunali[4]. E sono numeri che fanno ancor più riflettere sull’effettiva utilità del regolamento, a fronte di quanto fatto dalla Procura di Roma: nel mese di gennaio 2015, in un solo giorno, i finanzieri del Comando Unità speciali, nel corso di una vasta operazione di contrasto alla pirateria audiovisiva, avviata in seguito a una denuncia di Sky Italia, hanno sequestrato 124 siti.

A complicare il quadro si aggiunge una ricerca del Joint Research Centre della Commissione Europea, la quale ha scoperto che la chiusura dei siti pirata non solo è inutile ma perfino controproducente. In pratica, analizzando il sequestro del portale di streaming Kino.to, uno dei più grandi con una rete di pirati in Germania, Spagna, Francia e Olanda, si è scoperto che l’operazione ha avuto limitati effetti sulla riduzione del traffico online illegale. Dopo la chiusura del sito, infatti, la flessione di traffico pirata è scesa leggermente per poi ritornare dopo poco tempo ai livelli normali. Non solo, l’incremento di abbonamenti a servizi legali è cresciuto nello stesso periodo marginalmente.

La questione di fondo è che dopo la “morte” di Kino.to sono nati una serie di altri servizi di streaming pirata alternativi. Questo fenomeno prende il nome di effetto “Hydra” e sta a indicare che là dove prima c’era un unico sito dominante, se ne generano di più piccoli che insieme raccolgono l’utenza smarrita.

Inoltre il più delle volte la chiusura del sito consiste in un oscuramento per i soli residenti della Nazione di cui all’oggetto del provvedimento. Gli utenti riescono facilmente ad aggirare l’ostacolo installando degli addons per il browser (ad esempio Anonymox o Zenmate) di tipo VPN (Virtual Private Network), mediante i quali è possibile navigare su internet protetti e in anonimato: in questo modo l’utente camuffa il reale indirizzo IP con uno generico, risultando di fatto connesso da una Nazione diversa dalla propria e rendendosi di conseguenza non identificabile.

Vari, e vani, tentativi sono stati compiuti nel mondo dell’industria discografica per arginare il problema. Si pensi ad esempio all’utilizzo della tecnologia Digital Rights Management (DRM) per i file audio regolarmente acquistati nei negozi di musica digitale in Internet. Vari schemi di DRM sono stati direttamente integrati nei file per costringere l’utente ad una serie di limitazioni, come ad esempio il limite del numero di dispositivi o tipi di dispositivi sui quali quei file possono essere riprodotti. Da ultimo sembra aver dato un contributo positivo la proliferazione di servizi a pagamento, con cataloghi ricchi di brani e album da scaricare legalmente a prezzo modico, ai quali accedere pagando un abbonamento mensile dal costo limitato (ad esempio Spotify oppure Apple Music).

Alla luce di alcune ricerche recenti si pirata molta meno musica oggi che una decina di anni fa[5], anche se le motivazioni del cambiamento sono ancora materia di discussione più che risultati empirici. La musica riveste oggi il fanalino di coda del settore della pirateria online, ma la spiegazione potrebbe essere ricondotta, oltre ai servizi di streaming legali, anche al collasso della musica commerciale come industria nei confronti di altre forme di intrattenimento più in linea con i gusti dei consumatori e le tendenze del mercato multimediale.



Pirateria cinematografica

Per quanto riguarda la pirateria cinematografica ciò che preoccupa maggiormente il settore è indubbiamente lo streaming online. L’ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive) ha stimato che circa 1 milione e 240 mila italiani guardano film illegalmente (rilevazioni gennaio 2015), più di quanti scelgono l’alternativa legale, quali cinema, pay tv, streaming e download da siti web autorizzati. Questa forma di pirateria ha registrato un aumento del 55,4% rispetto al 2013.

Emblematico in tal senso è il caso del portale AltaDefinizione.tv. Con 115.000 visite giornaliere, il sito ha scalato il ranking nazionale entrando nella top 100 degli indirizzi più visitati dai navigatori del nostro Paese. Un quantitativo di traffico sufficiente per garantire al gestore un guadagno di circa 1.000 dollari al giorno. Trattandosi di un portale finalizzato alla distribuzione non autorizzata di contenuti protetti da diritto d’autore, nell’aprile del 2015 è stato chiuso e posto sotto sequestro dalla Guardia di Finanza di Lecco. Ciononostante dopo poche settimane proliferavano centinaia di nuovi siti, generando una elevata frammentazione dell’offerta.

La visione in streaming si è ormai affermata a discapito del cinema, ma soprattutto della televisione. Il nostro Paese, quanto ad offerta legale di contenuti audiovisivi, è un po’ indietro rispetto ad altri Paesi europei. Sono principalmente SkyOnline e Mediaset Infinity ad offrire questo tipo di contenuti su Internet in Italia, mentre altre realtà, come ad esempio Amazon con Istant Video, al momento sembrano non essere interessate a investire nel mercato italiano.

Probabilmente questa scelta è legata anche e soprattutto ai problemi di connettività di cui molte aree del nostro Paese soffrono. Si può ipotizzare che il digital divide abbia una connessione, almeno parziale, con questi dati sulla pirateria online. Non dimentichiamo che i prodotti offerti nel mercato legale sono qualitativamente superiori rispetto alla visione in streaming che può garantire un sito pirata, dove per giunta sono alti i rischi di contrarre un virus, senza contare le diverse finestre indesiderate che si aprono accedendo a questo tipo di siti. È molto difficile inoltre riuscire a trovare dei filmati in alta definizione o un audio di qualità. Pertanto scegliere l’alternativa pirata vuol dire innanzitutto accontentarsi di un servizio scadente e, secondariamente, accettare il rischio di mettere a rischio la sicurezza del proprio computer.



Pirateria editoriale

L’ebook-piracy è sicuramente una delle più moderne forme di business informatico. Indubbiamente meno pubblicizzata rispetto a quella relativa ai contenuti musicali e video, necessita comunque di un’attenta osservazione in quanto il fenomeno è in espansione. I file standard di lettura in formato epub, mobi, azw3 scaricabili dalla Rete sono riproducibili su un PC con appositi programmi[6] oppure visualizzabili direttamente su ebook reader, bypassando l’acquisto presso gli appositi store. In Italia il mercato ebook è partito in ritardo rispetto agli altri mercati europei. Nel 2014, nel nostro Paese, l’ebook è cresciuto a doppia cifra, ma certo molto meno di quanto si ipotizzava, e solo nel 2015 si è arrivati a superare il 5% del mercato.

Eppure il mercato del cartaceo ha subito una vistosa flessione, sia per il prezzo medio molto più basso per le copie digitali legalmente acquistate, sia per la diffusione della pirateria. Non a caso, Istat nel suo rapporto sulla lettura in Italia a gennaio 2015 scriveva che circa 5 milioni di persone di 6 anni e più hanno dichiarato di avere letto o scaricato libri online o ebook negli ultimi tre mesi.

A febbraio 2015, il traffico passante per le reti p2p relativo agli ebook era dello 0,2% nei torrent, mentre in un campione di 2000 file su un cyberlocker, il 2,6% era composto da ebook. Soltanto in Italia si rimuovono 500 ebook al giorno, a questo ritmo il 2016 si chiuderà con 180 mila rimozioni, 40 mila in più rispetto all’anno precedente. Un fenomeno che può assumere dimensioni sempre più vistose e che è necessario contrastare con maggiore consapevolezza.



Pirateria satellitare

Nel campo satellitare la pirateria conosce una varietà di forme: si passa dalla modifica del firmware del proprio ricevitore allo scopo di ricevere gratuitamente canali altrimenti a pagamento, per passare alle card e CAM “riprogrammabili” sino ad arrivare all’utilizzo di emulatori e allo sharing, sia casalingo sia attraverso la distribuzione remota.

Il card sharing è un metodo mediante il quale grazie all’utilizzo di particolari decoder, connessi tramite la Rete ad un server, è possibile vedere la TV satellitare e terrestre, che normalmente sarebbe a pagamento, in modo del tutto gratuito o comunque pagando abbonamenti di molto inferiori ai prezzi standard. Sky e Mediaset sono le più colpite dal sistema e nel tempo hanno cercato di sviluppare contromisure atte ad arginare il problema: in particolare tali emittenti televisive tendono a sostituire le SmartCard con una frequenza semestrale così da aumentare il grado di protezione. Sky soprattutto ha dichiarato guerra ai pirati riuscendo in larga parte a neutralizzare il fenomeno. Occorre ricordare che la stessa operazione di lettura e distribuzione delle chiavi dei canali satellitari condivise configura un reato, in quanto integra la fattispecie penale prevista dall’art. 640 ter c.p. (frode informatica). Inoltre il card sharing che coinvolge terzi perfeziona l’ulteriore reato di cui all’art. 171 octies legge 22 aprile 1941 n. 633[7].

Nonostante la lunga lotta con Sky, i pirati hanno rinvenuto nuove possibilità, sfruttando le potenzialità delle nuove connessioni ultraveloci, tramite un moderno sistema di trasmissione: il cosiddetto sistema IPTV.  Quest’ultimo è generalmente usato per ricevere segnali televisivi tramite connessioni ad Internet a banda larga. Trattasi, nella pratica, di uno streaming diretto tra due terminali: inoltre, a differenza del card sharing, anche altri dispositivi possono ricevere contenuti multimediali in condivisione[8], aumentando così le difficoltà nel rintracciare chi riceve e chi trasmette illecitamente contenuti.

Negli ultimi anni poi si è di molto diffuso, anche per la pirateria satellitare, il fenomeno delle streaming online. Numerosi siti trasmettono in tempo reale eventi sportivi di pertinenza delle piattaforme satellitari criptate nonché film protetti da copyright. È recente la lotta intrapresa da Mediaset contro il visitatissimo portale Rojadirecta che trasmetteva in diretta centinaia di eventi legati al mondo del calcio, basket e tennis.  Lo ha deciso la sezione specializzata Impresa del Tribunale di Milano su richiesta di Mediaset, che definisce la sentenza di particolare rilevanza giurisprudenziale in tema di lotta alla pirateria. Il giudice, infatti, questa volta non si è limitato ad agire sul singolo sito ma ha ordinato a un importante fornitore italiano di connessione internet (Fastweb) di inibire a tutti i propri clienti l’accesso al dominio it.rojadirecta.eu.



Pirateria videoludica

L’industria videoludica subisce ogni anno un danno considerevole dalla violazione dei diritti di proprietà intellettuale sui propri prodotti. L’Associazione europea degli editori di software videoludico ISFE stima che nel solo 2003 l’industria ha perso un minimo di 2,5 miliardi di euro a causa di tali attività illecite in Europa, senza contare l’impatto negativo sulle economie nazionali in termini sia di mancati introiti fiscali sia di perdite di posti di lavoro e sui consumatori finali.

Il fenomeno ha assunto dimensioni ancora più preoccupanti con l’avvento di Internet e della banda larga che, se da un lato hanno determinato la nascita di nuove opportunità per lo sviluppo di un mercato online dei contenuti digitali, dall’altro hanno posto il problema di identificare nuovi modelli di regolazione, di business e tecnologie in grado di assicurare un’adeguata remunerazione ai titolari dei diritti.

La Rete ha visto un proliferare di contenuti piratati distribuiti con relativa semplicità tramite i canali tradizionali (torrent, reti p2p ecc). Le software house hanno provato a difendere i propri titoli tramite l’utilizzo di DRM, nonché di protezioni sui giochi: si è passati da semplici talloncini di cartone contenenti password, presenti nei cd-dvd di installazione a veri e propri codici di attivazione, che i vari gruppi warez hanno aggirato sempre con relativa facilità tramite programmi generatori di codici seriali. Per far fronte al problema sono sorti numerosi store digitali (come Steam, Origin o Uplay), i quali spesso presentano offerte davvero vantaggiose per l’acquisto legale dei prodotti.



Considerazioni conclusive

Secondo l’ultimo Global Survey Software della BSA, in Italia il tasso di pirateria è pari al 47%, superiore alla media mondiale del 43%, comprensiva anche delle economie in via di sviluppo. Questo dimostra come l’incidenza del software piratato in ogni singolo settore del mercato digitale è ancora molto marcata. Tra l’altro non bisogna dimenticare che spesso pirateria e cybercrime viaggiano di pari passo: più è elevato il tasso di pirateria in una nazione, più è probabile che i computer di quel Paese vengano colpiti da attacchi malware. Questo induce a pensare a delle strategie di lotta nuove, considerato che tutte le misure, tecniche e giuridiche, finora adoperate si sono dimostrate, per i più svariati motivi, inconcludenti a dare una risposta definitiva al fenomeno. Una strada per il superamento del problema potrebbe essere passare dall’offerta di prodotti di qualità provenienti da più operatori con tariffe maggiormente allettanti che inducano molti utenti a passare dalla logica del meglio gratis anche se di scarsa qualità a quella del meglio la qualità e la sicurezza anche se a pagamento.





[1] Celebre il caso della band heavy metal Metallica che nell’aprile del 2000 si schierò apertamente contro il servizio di condivisione.
[2] Si pensi a Rapidshare, Mediafire, Easybitez o al famoso Megaupload, il quale fu chiuso il 19 gennaio 2012 dopo essere stato sequestrato dal Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti d’America per violazione di copyright e pirateria.
[3] Di solito si parla di una media di 10 € mensili per account.
[4] È stato inoltre fatto notare come l’attività amministrativa possa costituire un inutile doppione rispetto all’attività svolta in tale ambito dalla magistratura ordinaria, andando a creare una giustizia parallela.
[5] Secondo uno studio condotto da Envisional la musica rappresenterebbe soltanto il 2,9% dei 10mila download più popolari sul tracker PublicBT.
[6] Ad esempio Calibre è un software open source, multipiattaforma e free software dedicato alla gestione e visualizzazione degli eBook.
[7] Protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio.

[8] Ad esempio console e televisori di nuova generazione.

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